“Non posso sopportare la paura; ho bisogno di tranquillità. Quando arriva la paura non riesco a vedere e a fare niente. Ci sono molte cose che faccio a causa della paura. Ho paura di crollare, di perdere il controllo, che qualcosa prenda il sopravvento su di me, ho paura di essere colpito con una mitragliatrice… La paura riguarda sempre la possibilità che accada qualcosa di estremo. Per esempio, non ho paura che qualcuno mi prenda a schiaffi, ma di finire sotto un bombardamento. Alcune persone lottano. Io, invece, quando mi sento in trappola, crollo.” (estratto dalle esemplificazioni cliniche pubblicate sul PDM, p. 102).

Ansia, paura ed evitamento sono risposte normali e adattive che l’organismo attiva con l’obiettivo di rispondere ad una minaccia imminente reale o percepita, evitando o affrontando il pericolo. L’ansia si manifesta generalmente attraverso una serie di correlati fisiologici (come, ad esempio, l’aumento della frequenza cardiaca e respiratoria e l’alterazione della pressione arteriosa) che preparano l’organismo ad affrontare lo stressor mobilitando le energie utili a difendersi (Rossi Monti, 2016). L’ansia ha dunque una valenza adattiva, funzionale ad affrontare compiti le cui prestazioni, altrimenti, risulterebbero al di sotto delle potenzialità dell’individuo. A tal proposito, Yerkes e Dodson (1908) hanno proposto il modello della U rovesciata per descrivere il rapporto tra prestazione e attivazione psicofisiologica: la performance (ad esempio un esame o un colloquio di lavoro) migliora all’aumentare dell’ansia fino a raggiungere un livello ottimale in corrispondenza del punto più alto della curva; un ulteriore incremento dell’ansia, di contro, genera un progressivo scadimento della prestazione verso livelli sempre più disfunzionali. E’ in quest’ultimo caso che l’ansia si trasforma da fenomeno adattivo e funzionale a meccanismo patologico che attanaglia l’individuo, generando malessere e riducendo il livello percepito della qualità della vita.
I disturbi d’ansia sono ampiamente diffusi nella popolazione generale: costituiscono infatti il gruppo di disordini mentali prevalente nel mondo (Stein et al., 2017). Nel DSM-5 (2013) sono stati separati dal disturbo ossessivo-compulsivo e dal disturbo post-traumatico da stress: pur essendo caratterizzati da elevati livelli di ansia, questi ultimi disturbi presentano quadri con caratteristiche specifiche e differenziate. Attacchi di panico, disturbo di panico, agorafobia, fobia specifica, disturbo d’ansia sociale, disturbo d’ansia generalizzata e disturbo d’ansia da separazione sono tutti caratterizzati da ansia quantitativamente eccessiva e qualitativamente significativa: questi disagi raccolgono un insieme di stati affettivi, pattern cognitivi, stati somatici e pattern relazionali caratterizzati da elevata frequenza nella manifestazione, durata eccessiva ed elevata intensità; lo stimolo (più o meno circoscritto e specifico) che determina lo stato ansioso, inoltre, è percepito e vissuto in maniera abnorme, finendo per interferire con lo svolgimento delle attività quotidiane e generando un livello di malessere e disagio elevati. In alcuni casi le ansie sono talmente pervasive, croniche e invalidanti che il PDM – Manuale Diagnostico Psicodinamico – considera l’ansia generalizzata un disturbo di personalità piuttosto che una sindrome sintomatica (APA, 2008, p. 99). E’ necessario sottolineare, inoltre, che l’ansia e le sue configurazione psicopatologiche si presentano spesso all’interno di un quadro più complesso di sofferenza mentale: gli elevati livelli di comorbidità con i disturbi dell’umore e di personalità rende la diagnosi differenziale (e dunque la circoscrizione del disturbo) particolarmente difficile (Barnhill, 2014).
Numerose evidenze neuroscientifiche hanno dimostrato il collegamento fra disturbi d’ansia e fattori biologici e genetici. Tuttavia, un approccio multidisciplinare evita il rischio di un certo riduzionismo biologico nella loro comprensione. Per questo motivo, l’apporto della psicologia clinica ha fornito un decisivo contributo alla spiegazione e al trattamento di questi quadri psicopatologici. Le interpretazioni psicodinamiche sull’ansia, in particolare, nascono con il fondatore della psicoanalisi: dal concetto di angoscia legata all’impossibilità di soddisfare la pulsione, Freud passa (a seguito dell’introduzione del modello strutturale dell’apparato psichico) al concetto di angoscia-segnale (concetto dimostrato da una serie di ricerche neuroscientifiche su processi mentali inconsci implicati nella segnalazione di un pericolo imminente, vedi Gabbard, 2014). In altre parole, l’ansia viene intesa come segnalazione di un conflitto inconscio da cui l’Io si difende mobilitando meccanismi di difesa (Lis et al., 1999) che, se falliscono nel loro scopo, determinano un aggravamento dell’ansia o l’emergenza di altri sintomi nevrotici. Nel corso della storia, gli sviluppi delle teorie psicodinamiche hanno contribuito all’ampliamento e all’approfondimento della natura dell’ansia all’origine di disturbi psicopatologici. Secondo il modello kleiniano, ad esempio, la maturazione dell’apparato mentale consentirebbe all’individuo di sviluppare adeguate difese contro l’ansia determinata da innate fantasie distruttive e angoscianti. Bion, introdurrà il concetto di réverie per indicare la capacità di contenimento delle ansie infantili da parte della figura materna. Progressivamente, il tema delle relazioni (reali e interiorizzate) bambino-caregiver diventerà sempre più pregnante nella comprensione della psicopatologia, come dimostrano i contributi di autori quali Fairbain, Winnicott, Balint: “questi autori considerano, accanto a una teoria del conflitto, quella di un deficit o di una carenza ambientale per dare spiegazione del sorgere del disagio psichico” (Lis et al., 1999, pp. 266). Il modello dell’Infant Research, infine, ha approfondito il ruolo dei fattori innati, del temperamento del bambino e della sua capacità di influenzare il caregiver nello sviluppo della psicopatologia.
Chiaramente, le teorie sopra accennate non esauriscono l’amplia mole di letteratura sui disturbi d’ansia, nè consentono di applicare modelli standardizzati alla pratica clinica. Essa, infatti, si nutre della relazione unica fra terapeuta e paziente. Quest’ultimo, oltre ad essere portatore di una propria storia di sviluppo, sarà segnato da tratti e caratteristiche di personalità specifiche: proprio per questo presenterà una miscela di ansie caratteristica e irripetibile, che verrà narrata e sperimentata dentro e attraverso il campo mentale condiviso da terapeuta e paziente. Pertanto, la psicoterapia, può essere intesa come un progressivo e accurato lavoro di costruzione di senso e significato da attribuire alle esperienze interne e relazionali.
Bibliografia
American Psychoanalytic Association (2008). Psychodynamic Diagnostic Manual (PDM), Trad. it., PDM Manuale Diagnostico Psicodimanico, Raffaello Cortina Editore, Milano.
APA – AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5, APA, Washington DC (Trad. it. DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Raffaello Cortina, Milano 2014).
Barnhill, J.W. (2014). DSM-5 Casi clinici. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Gabbard, G.O. (2014). Psichiatria psicodinamica.Quinta edizione basata sul DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Lis, A., Stella, S., Zavattini, G.C. (1999). Manuale di psicologia dinamica. Il Mulino, Bologna.
Rossi Monti, M. (2016). Manuale di psichiatria per psicologi. Carocci Editore, Roma.
Stein, D.J., Scott, K.M., de Jonge, P., Kessler R.C. (2017). Epidemiology of anxiety disorders: from surveys to nosology and back. Dialogues in Clinical Neuroscience, 19,2, pp. 127–136.
Yerkes, R., Dodson, J.D. (1908). The Relation of Strength of Stimulus to Rapidity of Habit-Formation. Journal of Comparative Neurology and Psychology, 18, 5, pp. 459-82.