La comunità che cura

“The tenets of the therapeutic community provided the foundation for our first attempts at creating a new community”. “I principi della comunità terapeutica hanno fornito le basi per i nostri primi tentativi di creare una nuova comunità”. Dr. Sandra N. Bloom.

“L’impotenza, l’irrealtà e l’intero scarico della responsabilità sono distorsioni caratteristiche assai diffuse nelle organizzazioni terapeutiche (e anche in altre) […], dato che il potenziale terapeutico sta proprio nella condivisione delle responsabilità, in modo tale che l’individuo non si senta solo nell’affrontare l’inaffrontabile, potendo a questo punto introiettare il sentimento di venire rinforzato e accompagnato attraverso le sue paure più angoscianti. Se la persona sente che qualcuno le è rimasto accanto nella comunità esterna, può giungere ad una maggiore fiducia dentro di sè nella possibilità di rimanere in piedi anche di fronte a un cocente senso di responsabilità.” (Hinshelwood, 1989).

Disparates – Goya, 1864

Le comunità terapeutiche, se organizzate secondo principi democratici, adottano modelli di convivenza improntati al richiamo e al rispetto della responsabilità condivisa, della gestione democratica della vita quotidiana e dei momenti di crisi che, fisiologicamente, ci è richiesto di affrontare. Questa forma di psicoterapia non è intesa come «un nuovo setting, da affiancare ai classici setting individuali, di gruppo, o familiari, ma come uno sfondo politico-culturale ed una cornice teorico-metodologica, tanto dei diversi interventi psicoterapeutici (individuali, di gruppo, familiari) messi in atto nei casi di specifiche manifestazioni psicopatologiche, quanto di tutta una serie di altri interventi clinici e sociali, messi in atto da professionisti, operatori ed (ex)utenti esperti, che sostengono l’empowerment delle persone con gravi disagi psicologici nei loro contesti sociali di appartenenza, ed il loro recovery attraverso la partecipazione attiva a tutti quei processi terapeutici che ne sostengono la cura» (Bruschetta et al., 2015, p. 33).

Basata sul lavoro pionieristico di Tom Main (1983) e sulla successiva rielaborazione di vari autori (ad es. Robert Rapaport, Maxwell Jones, Robert D. Hinshelwood), la concezione di comunità terapeutica democratica è stata sviluppata fino a giungere ad una definizione recente e condivisa: la comunità terapeutica è un «ambiente organizzato che sfrutta il valore terapeutico dei processi gruppali e sociali. Essa promuove una vita di gruppo equa e democratica all’interno di un ambiente mutevole, permissivo ma sicuro. Le questioni interpersonali ed emotive sono discusse apertamente e i membri che vi abitano possono costruire relazioni intime. Lo scambio reciproco aiuta i membri della comunità a confrontarsi sui propri problemi e sviluppa la consapevolezza delle azioni interpersonali» (Haigh & Worral, 2002).

Secondo Kennard (1998) il presupposto fondamentale alla base di qualunque ambiente terapeutico è la condivisione del potere fra i membri della comunità. La comunità terapeutica non viene infatti concepita come un dispositivo statico, bensì come un sistema che si focalizza sulle proprie modalità di comunicazione – mai semplici o automatiche – e sempre suscettibile di soccombere agli automatismi amministrativi. Ancora, l’ambiente o comunità terapeutica rappresenta un tentativo di applicare i principi della psichiatria sociale e della teoria dei sistemi al trattamento istituzionale di vari tipi di devianza. Gli studi sull’applicazione dei modelli di comunità democratica all’organizzazione degli ospedali psichiatrici equiparavano infatti i nosocomi a microcosmi della più ampia società, rappresentando di fatto laboratori sperimentali per il cambiamento sociale (Tucker & Maxmen, 1973).

Una delle più sorprendenti caratteristiche di funzionamento degli ambienti terapeutici sta nel fatto che è la stessa comunità (quindi gli individui che la compongono) ad esercitare la maggiore influenza terapeutica su se stessa (Rapoport, 1960). Tutte le comunità terapeutiche si basano su precisi assunti: i pazienti vengono sollecitati ad assumersi la responsabilità di gran parte del proprio trattamento; il funzionamento organizzativo è più democratico che autoritario; i pazienti vengono messi nelle condizioni di aiutarsi a vicenda; il trattamento terapeutico deve essere prevalentemente volontario, se e quando possibile; i metodi psicologici di trattamento sono preferibili ai metodi di controllo fisico (Almond, 1974).

Poiché, inoltre, la permanenza nelle comunità terapeutiche è generalmente lunga (va da alcuni mesi a uno o più anni), essa rappresenta, secondo Jones (1953) un’opportunità di apprendimento sociale derivato dall’esperienza di convivenza all’interno di una rete sociale in cui i conflitti e le crisi – che si verificano in maniera del tutto fisiologica e naturale – vengono analizzati in situazioni di gruppo, utilizzando le competenze psicodinamiche a disposizione. Chiaramente, continua l’autore, una tale forma di apprendimento è complicata e dolorosa perché gli schemi di comportamento precedentemente acquisiti devono essere disappresi nella prospettiva di acquisire nuovi e più adeguati schemi di comportamento. Questa visione della comunità intesa come organizzazione sociale suscettibile di entrare in crisi implica una living-learning situation (una situazione esperienziale di apprendimento sul campo) , che fornisce la spinta verso il cambiamento e l’opportunità di imparare a cambiare (fonte: http://sanctuaryweb.com/TheSanctuaryModel/ORIGINSOFTHESANCTUARYMODEL/SocialPsychiatry/DemocraticTherapeuticCommunity.aspx).

Bibliografia

Almond, R., The Healing Community: Dynamics of the Therapeutic Milieu. 1974, New York: Jason Aronson.

Bruschetta, S., Bellia, V., Barone, R. (2015). Manifesto per una psicoterapia di comunità a sostegno della partecipazione sociale: la psicoterapia individuale e quella di gruppo rispondono ancora ai bisogni di cura della società? Plexus, Rivista del Laboratorio di Gruppoanalisi, n°14-15.

Haigh, R., Worrall, A. (2002). The Principles and Therapeutic Rationale of Therapeutic Communities. https://www.rcpsych.ac.uk/docs/default-source/improving-are/ccqi/quality-networks/ therapeutic-communities-c-of-c/cofc-process-document-2019-2020.pdf?fvrsn=77daf685_4.

Hinshelwood, R. D. (1989). Cosa accade nei gruppi. L’individuo nella comunità. Raffaello Cortina Editori, Milano.

Jones, M., The Therapeutic Community: A New Treatment Method in Psychiatry. 1953, New York: Basic Books.

Kennard, D., Introduction to Therapeutic Communities. 1998, London: Jessica Kingsley.

Tucker, G. and J. Maxmen, The practice of hospital psychiatry: A formulation. American Journal of Psychiatry, 1973, p. 887-891.

Rapoport, R.N., Community as Doctor: New Perspectives on a Therapeutic Community. 1960, London: Tavistock Publications.

La psicoterapia di comunità

La cura della salute mentale implica la possibilità di sviluppare risorse interiori funzionali al miglioramento delle capacità relazionali dentro i contesti sociali di appartenenza

Composizione VIII – Kandinskij, 1923

Ispirato al modello di salute mentale community based, che ritroviamo nei più recenti rapporti dell’OMS (2001, 2005), l’approccio della psicoterapia di comunità prevede la presa in carico clinico-sociale delle sindromi psichiatriche, attivando spazi di convivenza, reti sociali intermedie, processi evolutivi di passaggio tra l’ambiente in cui la sofferenza mentale si manifesta e il contesto più ampio, la comunità sociale di appartenenza (Barone et al., 2010). Gli obiettivi socio-professionali della psicoterapia comunitaria possono essere perseguiti attraverso il modello gruppoanalitico. Quest’ultimo, infatti: 1) fonda la sua epistemologia sull’antropologia; 2) la sua prassi clinica si è sviluppata in setting individuali, gruppali, familiari, istituzionali e comunitari; 3) assume come centrale per l’intervento clinico il potere terapeutico dei pari e l’orientamento alla partecipazione sociale (Bruschetta et al., 2015, pp. 40-41).

Richiamando il pensiero del sociologo Elias (1938), Foulkes (1948) sottolineava infatti l’importanza – in ambito psicoanalitico – di riconoscere l’approccio sociogenetico (storico) allo studio della formazione del Super-Io. Approccio che si integra a quelli filogenetico (come precipitato della preistoria) e psicogenetico (come conseguenza della storia individuale): «la psicologia dell’individuo è paragonabile all’anatomia e patologia microscopica, cioè […] il microcosmo dell’individuo ripete e riflette i cambiamenti macroscopici della società di cui egli costituisce una parte. L’individuo non è soltanto dipendente dalle condizioni materiali, per esempio economiche, climatiche, del suo mondo circostante e della comunità, del gruppo in cui vive, le cui richieste sono trasmesse a lui attraverso i genitori o da figure genitoriali, ma è letteralmente permeato da esse. Egli è parte di una rete sociale, un piccolo punto nodale, per così dire, in questa rete e può solo artificialmente essere considerato isolatamente, come un pesce fuor d’acqua» (Foulkes, 1948, pp. 41-42). La nascita della gruppoanalisi foulksiana attraverso l’esperienza di Northfield risponde ad una domanda di cura – al contempo – storica, comunitaria e istituzionale. I dispositivi gruppali utilizzati, infatti, rappresentavano gli strumenti più adeguati per trattare un’emergenza clinica e sociale all’epoca della seconda guerra mondiale e all’interno dell’istituzione ospedaliera che accoglieva reduci di guerra. Pertanto, secondo Foulkes, il sociale non è solo una dimensione spazio-temporale esterna all’individuo, bensì anche interna all’individuo e fondante la costituzione della sua psiche.

Partendo da queste riflessioni, il vertice teorico della psicoterapia di comunità assume l’individuo come nato e concepito non solo all’interno di un gruppo, ma anche dentro una comunità (familiare, lavorativa, sociale), che diventa a sua volta soggetto curante, oltre che serbatoio di risorse terapeutiche (Bellia, 2010). Pertanto, la Salute Mentale viene concepita come il prodotto della costante riorganizzazione delle appartenenze gruppali di ogni individuo. La cura della salute mentale, di conseguenza, implica la possibilità di sviluppare risorse interiori funzionali al miglioramento delle capacità relazionali dentro i contesti sociali di appartenenza. In definitiva, nella concezione della psicoterapia di comunità i gruppi rappresentano «dispositivi di sostegno psico-socio-economico elaborati dalla pratica clinica analitico-gruppale per intervenire direttamente sul livello territoriale nel quale si articolano alcune fondamentali appartenenze gruppali degli individui. Tali dispositivi consentono infatti alle comunità di individui che condividono uno specifico territorio politicamente definito di partecipare a quei processi sociali di formazione civica, di maturazione affettiva e di sviluppo professionale in grado di sostenere la riorganizzazione continua delle loro gruppalità interne, anche in situazioni di disagio psico-socio-economico o di patologia mentale» (Bruschetta et al., 2014, p. 12).

Bibliografia

Barone, R., Bruschetta, S., Bellia, V. (2010). La comunità che cura, in Barone, R., Bellia, V. Bruschetta, S. Psicoterapia di comunità. Clinica della Partecipazione e politiche di salute mentale, Franco Angeli, Milano.

Barone, R., Bruschetta, S., Giunta, S. (2010), Gruppoanalisi e Comunità Terapeutica. FrancoAngeli, Milano.

Bellia, V. (2010). Foulkes, la comunità, la cura. Gruppoanalisi e psicoterapia di comunità, in Barone, R., Bellia, V. Bruschetta, S. Psicoterapia di comunità. Clinica della Partecipazione e politiche di salute mentale, Franco Angeli, Milano.

Bruschetta, S., Barone, R., Frasca, A. (2014). La valutazione clinica delle reti sociali e la psicoterapia di comunità orientata alla recovery per la grave patologia mentale. Franco Angeli, Milano.

Bruschetta, S., Bellia, V., Barone, R. (2015). Manifesto per una psicoterapia di comunità a sostegno della partecipazione sociale: la psicoterapia individuale e quella di gruppo rispondono ancora ai bisogni di cura della società? Plexus, Rivista del Laboratorio di Gruppoanalisi, n°14-15.

Elias, N. (1938). Uber den prozess der Zivilization. The International Journal of Psychoanalysis, Vol. XIX, 2.

Foulkes, S. H. (1948). Introduction to group-analytic psychotherapy, London, Heinemann; trad. It. Introduzione alla psicoterapia gruppoanalitica, Roma, EUR, 1991.

OMS (2001). Rapporto sulla salute mentale: nuova visione, nuove speranze, Geneve.

OMS (2005). Dichiarazione sulla salute mentale per l’europa. Affrontare le sfide, creare le soluzioni. Helsinki.