Nuovi nodi nella malattia mentale: la soggettività intorpidita

“Vi sono persone che possono condurre una vita soddisfacente, fare del lavoro che può anche essere di valore eccezionale, ed essere tuttavia schizoidi o schizofrenici. Possono essere malate in senso psichiatrico per via di un precario senso di realtà. Per equilibrare questo, si dovrebbe asserire che vi sono altri che sono così fermamente ancorati alla realtà percepita oggettivamente da essere malati nella direzione opposta, di non essere in contatto con il mondo soggettivo e con l’approccio creativo alla realtà” (Winnicott, 1971).

The invention of life, 1928. R. Magritte

Questo articolo offre uno spunto di approfondimento su una nuova forma di sofferenza individuale, quella che Bollas (2018) chiama intorpidimento della soggettività, o, ancora, parziale distruzione del fattore soggettivo che implica un vuoto interiore, un senso di sè smarrito, una scarsa inclinazione a vivere l’esperienza soggettiva, una identità che non poggia su un approfondito lavoro mentale. L’autore definisce queste personalità normotiche, alludendo ad una persona “anormalmente normale. Troppo stabile, sicuro, tranquillo ed estroverso, […] totalmente disinteressato alla vita soggettiva.” (Bollas, 2018, p 114). Questo dis-conoscimento di sè, infatti, è perfettamente inserito all’interno di una vita sociale, lavorativa, economica spesso impeccabile, infiocchettata alla perfezione all’interno di un mondo fatto di oggetti acquisiti che finiscono per definire la soggettività stessa. Per usare le parole di Bollas: “il normotico si rifugia negli oggetti concreti. E’ posseduto dalla pulsione a definire la soddisfazione mediante l’acquisizione di oggetti, e quindi misura il valore delle altre persone in termini di quantità di oggetti acquisiti. Ma questo tipo di appropriazione non nasconde alcuna passione […]. Il normotico accumula oggetti concreti senza avere alcun desiderio; essi semplicemente appaiono nella sua vita come se fossero il risultato logico e il simbolo della sua personalità” (Bollas, 2018, p. 116). L’attitudine acquisita, già durante l’infanzia, è quella di deviare lo sguardo dal mondo psichico per concentrarsi su tutto ciò che è esteriore e concreto, relegando ad un rumore di fondo tutto ciò che ha a che fare con la vita interiore. Ciò che conta è che il Sè venga considerato come normale, poggiando la valutazione della propria soggettività su parametri esterni, rigorosamente all’interno della norma. E’ importante essere una brava persona, ben inserita all’interno delle vicissitudini sociali, qualcuno che si desidera avere come amico: “il modo in cui il sè viene trattato come un oggetto è simile all’interesse mostrato verso la qualità di un prodotto dall’ufficio preposto ai controlli di qualità di un’azienda” (Bollas, 2018, p. 130).

Bollas ritiene che questo tipo di personalità sembra essere stato trascurato dalla psicoanalisi in quanto questo disturbo viaggia sull’asse della normalità. Uno sguardo attento, invece, coglie la profonda anormalità nell’essere eccessivamente normali. Diversamente dalla rottura psicotica, in cui si perde di vista l’orientamento di realtà, distaccandosene, la malattia normotica determina una rottura radicale dalla soggettività, una totale assenza dell’elemento soggettivo e un mancato riconoscimento del movimento interiore che lo caratterizza: “come la malattia psicotica è caratterizzata dal rivolgersi esclusivamente al mondo della fantasia e dell’allucinazione, così la malattia normotica può essere definita come il rivolgersi esclusivamente agli oggetti concreti e al comportamento convenzionale” (Bollas, 2018, p. 123), costringendo l’individuo dentro una spirale di superficialità, dove si esorcizza il complesso mondo delle esperienze soggettive.

Il rischio che comporta l’imponente costruzione delle difese normotiche è il crollo che ne deriva nel momento in cui si entra a contatto con la profondità del complesso mondo psichico. La perdita del lavoro, il lutto, il tumulto della fase di sviluppo adolescenziale, sono solo alcuni esempi di eventi di vita che, per essere elaborati, richiedono il contatto con la propria vita interiore, con il complesso mondo delle emozioni, con la necessità di nuotare dentro la complessità del vissuto soggettivo che si relaziona con il naturale corso delle cose. Non è improbabile, che dinanzi alla necessità di vivere esperienze soggettive crescenti, queste personalità finiscano per rivolgersi alle droghe o tentino il suicidio per anestetizzare le emozioni o per trovare un’alternativa al contatto con se stessi.

Per concludere, la cura della soggettività può passare attraverso la psicoterapia che attinge dalla psicoanalisi, intesa come scienza della soggettività. Da un punto di vista fenomenologico, la psicoanalisi colloca il punto di partenza nella “soggettività dell’individuo, e questo per ragioni strettamente filosofiche. (…) Non vi può essere, all’inizio, altra verità che questa: io penso, dunque sono. Questa è la verità assoluta della coscienza che coglie se stessa (Sartre, 1958, trad. it. p. 61). In altre parole, è la nostra soggettività (pensieri, fantasie, desideri, pulsioni, sogni, incubi, ricordi, affetti, sentimenti e così via) che ci consente di esistere, di essere nel mondo attraverso noi stessi e il nostro mondo interiore. La psicoanalisi pone una lente di ingrandimento su questo universo soggettivo, affinché possa essere ri-conosciuto, esplorato, condiviso nella relazione terapeutica e indirizzato verso il benessere e la salute mentale.

Bibliografia.

Bollas, (2018). L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Sartre J. P. [1943]. L’essere e il nulla, Milano, Mondadori, 1958.

Winnicot, D.W. (1971). Il gioco: formulazione teorica. Trad. it. in Gioco e realtà. Armando, Roma 1974, pp. 29-100.

Alla scoperta del sintomo

Cosa sta dietro i sintomi?

La persona con i suoi sogni, i suoi desideri, le sue fantasie e la sua più autentica umanità…

I sintomi, in quanto tali, sono per noi non nemici, ma amici; dov’è un sintomo là è un conflitto, e conflitto significa sempre che forze vitali lottano ancora per l’integrazione e la felicità” (da Le quattro lezioni sulla Patologia della Normalità dell’Uomo Contemporaneo di E. Fromm, 1953).

Sulla soglia dell’eternità – Van Gogh, 1890.

Dal greco, il termine sintomo deriva da SYMPTOMA = coincidenza, che tiene alla radice SYMPIPTEIN (coincidere), composto da SIM per SIN = con e PIPTEIN = cadere. Esso, dunque, indica un fatto morboso che coincide con un altro fatto. Pertanto, può essere considerato un indizio, una circostanza. Il vocabolario Treccani lo riconduce, nel linguaggio medico, ad uno dei fenomeni elementari con cui si manifesta uno stato di malattia. In linea generale, il sintomo è poi definito un indizio, il segno di qualcosa che sta per manifestarsi o è già in atto. Ancora, esso è il segnale di un fatto suscettibile di rivelarsi in forma più esplicita.

Disturbi da uso/dipendenza da sostanze, disturbi d’ansia, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi dell’umore, disturbi dell’alimentazione, disturbi psicotici, sono alcuni esempi di configurazioni psicopatologiche costellate da una serie di sintomi caratteristici che segnalano e definiscono un quadro di funzionamento psichico e comportamentale sofferente, ammalato, a disagio. Al clinico della malattia mentale è richiesto di effettuare una diagnosi. A sua volta, il termine diagnosi deriva dal greco DIAGNOSIS, composto dalle particelle DIA = per mezzo e GNOSIS = cognizione, da COGNOSCERE = conoscere. Diagnosi significa dunque conoscere per mezzo, attraverso l’osservazione e l’analisi dei fenomeni che accompagnano una malattia.

Stanghellini e Rossi Monti, riflettendo sulla diagnosi psicodinamica, si chiedono: “conoscere attraverso” che cosa? Si tratta di conoscere un’ipotetica malattia soggiacente “attraverso” il sintomo, oppure di conoscere il senso di quelle ricorrenze sintomatologiche “attraverso” la persona che ce ne parla?” (Stanghellini & Rossi Monti, 2009, p. 89). La prospettiva fenomenologico-dinamica della psicopatologia sottolinea l’importanza del senso, del significato che per quella determinata persona hanno i segni o sintomi che manifesta all’interno del mondo relazionale in cui vive. Ciò significa che i sintomi rappresentano la punta di un iceberg che, a sua volta, costituisce un quadro, una struttura di funzionamento psichico che diventa sempre più chiara man mano che si dispiega la storia della persona che ne è portatrice. Per usare le parole degli autori, nella diagnosi psicodinamica “viene ricostruita la storia personale attraverso una narrazione che mette in un rapporto di significatività temporale i fenomeni psichici […]. Essi vengono ricondotti a uno o più punti di svolta storico-biografici, chiasmi di densità e intensità patogenetica, come lo è, per esempio, un trauma o un conflitto” (Stanghellini & Rossi Monti, 2009, p. 92).

Nancy McWilliams (1999) definisce la psicoanalisi come la scienza della soggettività, nella quale l’empatia dell’analista è lo strumento d’indagine fondamentale. Un’indagine che accoglie la soggettività del paziente intesa come matrice da cui prendono forma sintomi e disturbi. Ancora, nel definire la psichiatria psicodinamica (che è genericamente riconducibile ad un approccio alla diagnosi e alla terapia caratterizzato da un’integrazione fra le neuroscienze e la psicoanalisi), Gabbard scrive: “i sintomi e i comportamenti sono considerati solamente come il comune collettore finale di esperienze altamente personali e soggettive, che filtrano i fattori determinanti biologici e ambientali della malattia. Gli psichiatri psicodinamici attribuiscono […] un grande valore al mondo interno del paziente – fantasie, sogni, paure, speranze, impulsi, desideri, immagini di sè, percezione degli altri e reazioni psicologiche ai sintomi” (Gabbard, 2014, p. 8).

Ciò che sta dietro il sintomo è dunque la persona con la sua storia, il suo mondo interno e le relazioni che stabilisce con gli altri; è, in definitiva, la persona nella sua più autentica umanità.

Bibliografia

Stanghellini, G., Rossi Monti, M. (2009). Psicopatologia del patologico. Una prospettiva fenomenologico-dinamica. Raffaello Cortina Editore, Milano.

McWilliams, N. (1999). Il caso clinico. Dal colloquio alla diagnosi. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Gabbard, G. O. (2014). Psichiatria psicodinamica. Quinta edizione basata sul DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano.